La cosa più semplice quando non si ha una spiegazione a qualcosa, è aggrapparsi alla religione, intesa come il volere di un altro e alto soggetto, seduto sulla nuvoletta, che ci indica chi è buono e chi è cattivo, che cosa è il bene e cosa è il male, perché sei nato e perché devi morire, la ragione del creato e i dubbi sull’anima e sulla vita ultra terrena.
Anche per spiegare le guerre, alle quali non sappiamo, a causa della nostra beata ignoranza, dare una motivazione logica, plausibile e storicamente validabile, ci piace buttarla in caciara. Ossia, sulle divisioni tra religioni. O tra gruppi che, all’interno della stessa religione, si sono fatti una propria Chiesa e quindi le proprie regole e quindi i propri sacerdoti. E devono convincere tutti gli altri, partendo da quelli più vicini per credenza e distanza geografica, di essere i depositari della verità. E convincerli con le buone, se aderiscono spontaneamente, o con le cattive, se non lo fanno, a passare dalla parte del vero dio.
Concludendo: la guerra in Medio Oriente non è una guerra di religione, tra islamici ed ebrei. Così come, giusto per fare un salto indietro nella storia, non lo erano le Crociate.
La guerra tra protestanti e cattolici non è stata una guerra all’interno della cristianità. In Irlanda non si è sparato e gettato bombe per questioni dottrinarie, ma semplicemente per una questione di dominio e occupazione.
La guerra tra l’ortodossia dei serbi e l’Islam dei bosniaci/kosovari non è stata causata da dispute religiose tra popoli appartenenti allo stesso ceppo linguistico e antropologico, cioè quello slavo.
Per farla breve: chiamare in causa la religione, già definita come l’oppio dei popoli, quale causa scatenante dei conflitti, è il classico specchietto per le allodole. Il potente calcioinculo assestato sulle giostre per farvi acchiappare e vincere il pelouche: la tranquillità che tanto si ammazzano, gli altri, tra di loro e noi possiamo finire il nostro spritz senza troppi rimorsi.
E dunque che cosa c’è dietro? Voglia di potere, delirio di potenza, gusto di decidere se gli altri possono vivere e, in caso affermativo, come devono vivere. Cioè sentirsi e diventare non come, ma proprio un dio. Solo veramente buono e giusto.