Introduzione
La crociata sui dazi del presidente Trump alimenta ansia e incertezza, con i produttori di vino italiani preoccupati e persino giganti come Campari che avvertono di possibili riduzioni degli utili. In questo clima di preoccupazione, è facile fermarsi ai titoli dei giornali. Eppure, analizzando i dati e le dinamiche reali, emerge una narrazione controintuitiva e sorprendentemente ottimista: la realtà si sta dimostrando molto meno cupa delle aspettative, creando uno slancio positivo inatteso, soprattutto per i mercati europei. Andiamo a scoprire cosa sta accadendo veramente dietro le quinte.
- Introduzione
- 1. Il Paradosso dell'”America First”: I Dati Mostrano un’America Indietro
- 2. Un Muro Pieno di Buchi: Perché i Dazi Sono Sorprendentemente Inefficaci
- 3. Il Mondo Va Avanti: Le Alleanze Commerciali Stanno Cambiando
- 4. La Resilienza Nascosta: Le Catene di Fornitura Non Sono Spezzate
- Conclusioni
1. Il Paradosso dell'”America First”: I Dati Mostrano un’America Indietro
Il paradosso centrale della politica tariffaria di Trump è che la sua strategia “America First” sta, statisticamente, lasciando l’America indietro. Mentre l’incertezza generata penalizza tutti, i dati di mercato mostrano che a pagare il prezzo più alto sono proprio gli Stati Uniti. Un confronto della performance dei mercati azionari da inizio anno a fine luglio rivela un quadro inequivocabile:
• USA: -1,8%
• Azioni non-statunitensi: +6,4%
• Cina: +11,3%
• Eurozona: +14,0%
• Italia: +25,0%
Questo divario è ulteriormente confermato dal crollo della classifica statunitense nell’indice MSCI All-Country World, dove è passata dal 4° posto dell’anno precedente al 37°. La realtà economica conferma un principio fondamentale spesso ignorato dalla politica.
I dazi danneggiano sempre in misura maggiore il Paese che li emana e i suoi cittadini finiscono per pagarne il prezzo.
2. Un Muro Pieno di Buchi: Perché i Dazi Sono Sorprendentemente Inefficaci
Oltre a danneggiare il mercato interno, la strategia tariffaria di Trump si scontra con un secondo, più pragmatico problema: la sua stessa inefficacia strutturale. A fine luglio, si stima che gli Stati Uniti avessero riscosso solo il 42% circa delle tariffe previste nello scenario peggiore. Le ragioni di questa inefficienza sono concrete e difficili da superare:
1. Aggiramento: Le aziende fanno transitare le merci attraverso Paesi con dazi più bassi per evitare le tariffe più pesanti.
2. Scappatoie: Imprese ingegnose trovano continuamente vie legali e illegali per eludere i controlli e i pagamenti.
3. Carenza di Personale: Gli Stati Uniti non dispongono di abbastanza agenti doganali per ispezionare l’enorme volume di spedizioni. Il piano di Trump per assumere diecimila nuovi agenti si scontra con la difficoltà di trovare lavoratori qualificati disposti ad accettare ruoli simili.
Queste realtà operative minano alla base l’impatto della politica tariffaria, ma non è tutto. La sua debolezza non è solo pratica, ma anche legale: una corte d’appello statunitense ha infatti espresso forti dubbi sulla legittimità dei poteri di “emergenza” invocati da Trump per introdurre dazi a tappeto, rendendo l’intera impalcatura politicamente e giuridicamente fragile.
3. Il Mondo Va Avanti: Le Alleanze Commerciali Stanno Cambiando
Di fronte a una politica statunitense aggressiva ma inefficace, la reazione del resto del mondo non è stata quella di una guerra commerciale totale. Invece di impegnarsi in grandi ritorsioni, molti Paesi si stanno concentrando sul rafforzamento delle proprie economie e sulla creazione di nuove relazioni commerciali che escludono attivamente gli Stati Uniti.

Esempi concreti di questa tendenza includono il nuovo accordo di libero scambio tra il Regno Unito e l’India, con l’Unione Europea che si sta muovendo in una direzione simile. Questo cambiamento suggerisce una potenziale e significativa trasformazione a lungo termine degli equilibri commerciali globali, con una progressiva riduzione della centralità americana.
4. La Resilienza Nascosta: Le Catene di Fornitura Non Sono Spezzate
La paura più diffusa, quella di una rottura delle catene di fornitura globali, non trova riscontro nei dati. L’indice di pressione sulla catena di approvvigionamento globale (Global Supply Chain Pressure Index) della Federal Reserve Bank di New York si attesta attualmente a zero, un valore perfettamente in linea con la sua media storica dal 1997.
Anche in Europa, il quadro è più resiliente del previsto. La lieve contrazione del PIL italiano nel secondo trimestre (-0,1%) non deve allarmare. Si tratta di un assestamento tecnico prevedibile, poiché le imprese avevano strategicamente anticipato gli ordini nel primo trimestre per proteggersi dall’imminente introduzione dei dazi, gonfiando artificialmente i dati di quel periodo. Il quadro generale rimane positivo: l’Eurozona nel suo complesso ha continuato a crescere e le aspettative sugli utili delle imprese rimangono elevate. Questo scenario conferma un principio fondamentale dei mercati: l’ottimismo non nasce solo dalle buone notizie, ma anche dall’assenza di quelle cattive che si temevano. Una realtà semplicemente “meno peggio” del previsto è sufficiente a innescare una potente reazione rialzista.
Conclusioni
La vera storia dei dazi non è quella di un semplice danno economico, ma di risultati complessi e spesso controintuitivi. L’economia globale sta dimostrando una resilienza e una capacità di adattamento che le aggressive politiche protezionistiche non riescono a scalfire. Una realtà meno negativa del previsto sta alimentando un cauto ottimismo e sostenendo i mercati, specialmente al di fuori degli Stati Uniti.
La vera domanda, quindi, non è se l’economia globale sopravviverà a queste politiche, ma come si riconfigurerà. Mentre l’America si concentra su barriere illusorie, dove stanno nascendo le nuove autostrade del commercio globale?
