Introduzione: Lo Stato della Disunione
Il recente discorso sullo Stato dell’Unione, pronunciato da Ursula von der Leyen, avrebbe dovuto trasmettere forza e visione, ma ha invece avuto l’effetto opposto: ha rivelato, in modo quasi involontario, cinque verità scomode sull’Europa
- Introduzione: Lo Stato della Disunione
- 1. La Maggioranza non c’è più: Il Teatrino dopo il Discorso
- 2. L’Illusione dell’Auto Elettrica: Una Strategia Contro il Mercato
- 3. Una Difesa Comune Senza Soldi: Il Tabù del Debito
- 4. La Svolta su Gaza: Parole Forti, Conseguenze Deboli
- 5. Un’Europa Sotto Test: La Provocazione Russa
- Conclusione: Riformare o Soccombere?
Il discorso sullo “Stato dell’Unione” è, per sua natura, un esercizio di architettura politica: un momento solenne in cui la leadership di Bruxelles tenta di proiettare un’immagine di forza, visione e coesione. È il palco su cui si costruisce la narrazione di un’Europa unita e pronta alle sfide del futuro.
L’ultimo intervento di Ursula von der Leyen, tuttavia, è stato un raro momento di involontaria onestà. Invece di consolidare la facciata, il suo discorso ha agito come un reagente chimico, facendo emergere le crepe profonde che attraversano le fondamenta dell’Unione. Sotto il peso delle sue stesse contraddizioni interne, l’edificio europeo ha mostrato tutta la sua fragilità, rivelando cinque scomode verità che definiscono non lo Stato dell’Unione, ma quello della sua palese disunione.
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1. La Maggioranza non c’è più: Il Teatrino dopo il Discorso
Ogni discorso programmatico mira a consolidare il consenso politico, ma quello di von der Leyen ha certificato l’esatto contrario. L’obiettivo di ricompattare la coalizione “di democratici europeisti” è fallito nel modo più plateale possibile, culminando in uno “sconfortante teatrino” subito dopo la fine dell’intervento: uno scontro frontale e pubblico tra Manfred Weber, presidente tedesco del Partito Popolare e “compagno di partito” della stessa von der Leyen, e Iratxe Garcia Perez, presidente spagnola dei Socialisti.
Questo scontro non è un banale incidente, ma il sintomo di una frattura profonda tra le due principali forze politiche che dovrebbero sostenere la Commissione. Dimostra che la maggioranza “scricchiola” a poco più di un anno dalle elezioni europee, rivelando il paradosso più amaro: un discorso pensato per unire ha finito per esporre la disunione ai massimi livelli, proprio nell’aula che dovrebbe rappresentare l’unità del continente.

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2. L’Illusione dell’Auto Elettrica: Una Strategia Contro il Mercato
Il divario tra la visione di Bruxelles e la realtà economica e politica è emerso con brutale chiarezza sul fronte industriale. La proposta di insistere sull’elettrico integrale, specializzando l’Europa nella produzione di mini e-car “ecologiche, europee e economiche”, non è solo un errore strategico, ma il prodotto di un calcolo politico. Nasce dallo “slittamento verso il centrosinistra” della Commissione, che ripropone “ricette ecologistiche che non stanno funzionando” per placare una parte della sua fragile maggioranza.
Questa disconnessione sulla strategia industriale è un’altra faccia della disunione europea, che contrappone una visione ideologica a due dati di fatto inoppugnabili. Primo: la soluzione dell’elettrico integrale è “già bocciata dai produttori e dal mercato”. Secondo: proprio nel segmento delle mini e-car, “la Cina ha un vantaggio incolmabile” e le industrie europee “hanno già fatto retromarcia”.
Mentre noi confondiamo il futuro con il passato, altrove le macchine si guidano da sole.
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3. Una Difesa Comune Senza Soldi: Il Tabù del Debito
Nonostante la retorica “combat” e la promessa di difendere “ogni centimetro quadrato del suo territorio”, il grande piano per la difesa comune, “Prontezza 2030”, nasce drammaticamente depotenziato. Questa debolezza strutturale nasce da un tabù politico, una singola e pesante omissione nel discorso della Presidente: l’assenza di qualsiasi riferimento al “debito comune”, definito come “l’unico strumento che darebbe sostanza al piano di riarmo”.
La scelta, fatta per “non scontentare il fronte del Nord”, ha conseguenze immediate e distorsive. Lasciando gli investimenti alla capacità fiscale dei singoli Stati, si crea un “vantaggio competitivo con effetti distorsivi sul mercato comune” a favore di nazioni con basso debito come la Germania, a discapito di Italia e Francia. Si delinea così un preoccupante schema ricorrente: una postura verbale assertiva a cui non corrisponde la volontà politica di creare gli strumenti per sostenerla.
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4. La Svolta su Gaza: Parole Forti, Conseguenze Deboli
Sulla questione di Gaza, il discorso ha messo in scena il classico dramma europeo: una retorica moralmente forte svuotata da una paralisi politica. Dopo le accuse di ambiguità, von der Leyen ha finalmente espresso una “condanna dura”, ma questa svolta verbale si infrange contro la realtà degli strumenti a disposizione.
Le conseguenze pratiche sono o vaghe o irrealizzabili. L’impegno a interrompere i “pagamenti bilaterali” con Israele è indefinito. Misure più severe, come le sanzioni ai politici estremisti o la sospensione dell’accordo di associazione con Tel Aviv, sono definite “ardue”, poiché richiedono una “maggioranza qualificata dei Paesi in Consiglio europeo, che in questo momento non esiste”. Ancora una volta, emerge un abisso invalicabile tra la forza delle parole e la debolezza dei fatti, confermando l’incapacità dell’Unione di agire come un attore geopolitico coeso.
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5. Un’Europa Sotto Test: La Provocazione Russa
A rendere tangibile la pericolosità della disunione europea è stato un evento esterno, carico di un simbolismo sinistro. Alla vigilia del discorso, si è verificato uno “sconfinamento di droni russi in territorio polacco”. Per ambienti NATO non è una coincidenza, ma una “palese provocazione, se non un test sulla tenuta dell’Alleanza”, un “segnale” inviato a una leadership in un momento di evidente fragilità.
La leader in questione, von der Leyen, è definita “pericolante” non a caso: un sondaggio circolante poco prima del suo intervento suggeriva che per sei europei su dieci le sue dimissioni sarebbero giustificate per l’accordo sui dazi con Trump. In questo clima, la scena assume contorni di un’ironia drammatica: mentre la Presidente esprimeva solidarietà alla Polonia, ottenendo “rari applausi corali”, “non era probabilmente informata” della gravità dell’accaduto. Una leader che parla di unità, ignara di una minaccia diretta ai confini di quell’unità, è l’immagine perfetta del divario tra la retorica di Bruxelles e la dura realtà esterna che osserva, e forse sfrutta, le sue debolezze.
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Conclusione: Riformare o Soccombere?
In definitiva, il discorso sullo Stato dell’Unione ha fotografato, con spietata accuratezza, lo “Stato della disunione”. La maggioranza in frantumi, le strategie industriali scollegate dalla realtà, una difesa senza risorse, una politica estera impotente e una vulnerabilità strategica verso l’esterno non sono problemi isolati. Sono i sintomi interconnessi di una crisi sistemica, che affligge un’architettura istituzionale bisognosa di “un disperato bisogno di riforme”. La vera domanda, dunque, non è se l’Europa supererà questa o quella sfida, ma se la sua classe dirigente troverà la volontà politica di riformare questa architettura prima che le sue stesse contraddizioni la conducano al collasso.
