I paradossi dell’informazione: La Germania? Stiamo diventando noi (italiani)!

Sono un affezionato lettore di vari quotidiani on line.

Pago gli abbonamenti e lo faccio volentieri. Perché faccio girare l’economia e posso commentare delle notizie veramente improbabili.

Le succose e incredibili notizie di oggi sono al limite del paradosso, del soprannaturale, dell’esoterico, giusto per stare in casa del Ministro della Cultura. VolksWagen taglia gli stipendi del 10%, chiuderà tre fabbriche, e per i prossimi anni, non ci saranno aumenti salariali.

@debackey

Parliamo degli annunci della Volkswagen di chiudere tre stabilimenti produttivi e tagliare il 10% dei salari per i prossimi due anni. Discutiamo delle possibili conseguenze di questa crisi dell’industria automobilistica tedesca sull’Europa e sull’economia italiana, che sembra resistere meglio. Tuttavia, sottolineiamo che l’economia italiana è strettamente legata a quella tedesca, quindi una crisi in Germania avrà inevitabili ripercussioni anche in Italia. Inoltre, evidenziamo il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione italiana, che rappresentano sfide importanti per il futuro del Paese. #VW #Economia #Italia #Germania #Crisi #Lavoro #Demografia

♬ suono originale – DeBackey

Nello stesso tempo, si apprende che “i francesi invidiano i nostri BTP”. Ma il bello deve ancora venire. Si fa per dire. I Grandi del G7 invidierebbero altri del G7, ma meno grandi, sostanzialmente noi, perché il nostro spread tiene. Lo spread è in sostanza il differenziale tra un titolo di Stato italiano, BTP a 10 anni, e il Bund decennale tedesco.

Ora, non sappiamo se ridere o piangere. L’economia della Germania è in chiara e palese recessione e anche il settore dell’auto, punta di diamante dell’industria tedesca, è in affanno. E’ di tutta evidenza che la manifattura è al tramonto della propria epoca e che l’auto non potrà sostenere lavoro, salari, export e tutto ciò che gli ruota intorno. Colpa della Cina? Anche, ma non solo. Anche, perché nel momento che arriveranno le auto cinesi, elettriche, iper tecnologiche e a buon mercato, sarà l’inizio della fine per i grandi marchi occidentali. Ma, più in generale, la corsa all’auto nuova come status symbol, come necessità per una mobilità se vogliamo abbastanza economica.

Ora, è noto a tutti, meno che a qualche giornalista, che l’economia italiana è l’economia del nord. E che l’economia del nord regge e si regge sulla complementarietà all’industria tedesca. Dell’auto e non solo. Quindi, facile prevedere che cosa succederà, chi ne risentirà di questo calo di produzione, di reddito, di ricchezza: l’Italia. Tutta e tutti, nessuno escluso.

Dire e scrivere quindi che i nostri titoli di Stato, acquistati soprattutto dalla Banca centrale tedesca, sono più forti e appetiti dai Grandi del G7, mi pare proprio una grande sciocchezza. Potrei sbagliarmi. Anzi spero di sbagliarmi. Le supercazzole sulla crescita occupazionale dell’Italia non mi convincono.

Si tratta di rivedere profondamente il sistema industriale, fino appunto a una concezione ottocentesca. La catena di montaggio, le auto, gli operai, il lavoro assicurato ma sfruttato, le lotte sindacali, per venire a nuovi paradigmi di sviluppo. Probabilmente non sarà nemmeno necessaria, data la decrescita della popolazione europea occidentale, e l’aumento della popolazione complessiva del pianeta, giunta alla cifra record di 8,1 miliardi di persone. Decrescita infelice, perché il sistema dei diritti e delle libertà individuali, garantiti sopra ogni cosa, quindi sopra tutti gli altri individui, sembra giunto al capolinea.

Antonio Di Bacco

di Antonio Di Bacco

Dipendente pubblico, giornalista pubblicista, appassionato e arbitro di rugby

Related Post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *